NOI I RAGAZZI DEL BOSCO DI CAPODIMONTE

(La gallina a tre zampe) Ciro Peluso

Ho composto un manoscritto dal titolo “La gallina a tre zampe”. il mio desiderio è quello di pubblicarlo. Ve lo propongo in questa pagina.

TUTTO QUELLO CHE SEGUE LO SCRISSI NEL 2001 IN CIRCA UNA QUINDICINA DI GIORNI DURANTE UNA MIA DEGENZA IN UN OSPEDALE DI NAPOLI.

PARTE I

NOI I RAGAZZI DEL BOSCO DI CAPODIMONTE

DIETRO LA “VASCA” NEL BOSCO DI CAPODIMONTE

Capitolo I

Martedì 27 febbraio 2001 Ore 18.00

Questo è il secondo giorno di ricovero al Vecchio Policlinico di Napoli. Fuori è una limpida giornata, il cielo è terso ma so che fa freddo. Nella stanza due letti, a fianco a me un altro degente che in questo momento sta riposando e russa leggermente. Poco fa mi hanno fatto visita mia sorella e mio padre.

Questa è la terza volta che sono ricoverato per disintossicarmi dall’alcool.

Credo di aver deciso definitivamente a smettere di bere. Dimettendomi l’ultima volta mi fecero capire che la mia, come per ogni alcolista, è una malattia. Mi dissero allora che per rimanere sobrio non dovevo più toccare una goccia d’alcool. Sono stato per più di quattro mesi, da agosto fino all’inizio di Gennaio senza bere. Mi avevano assicurato, che mi bastava solo quella goccia perché si rimettesse in moto il meccanismo della dipendenza dall’alcool: la cosiddetta “compulsione alcolica” per la quale il mio organismo entrava in una fase di dipendenza dalla sostanza.

Sono riuscito a superare in quel periodo dei momenti di forti tentazioni. Alla festa del matrimonio di mia cognata, la sorella di mia moglie, alcuni, non conoscendo il mio problema, mi offrivano da bere ma io sono riuscito rifiutare.

Ho superato positivamente le feste di Natale e Capodanno. Il giorno dell’Epifania, trovai sotto un mobile della cucina una bottiglia nella quale c’era meno di un bicchiere di vino. La tentazione fu così forte che ne bevvi un sorso, poi un altro ancora. Da allora ho ripreso a bere fino a ritornare ad esagerare. Dopo un po’ di tempo, accompagnato da una mia collega, tornai nel reparto “Tossicologia d’Urgenza” di quest’ospedale ed ebbi un colloquio con una psicologa alla quale le dissi di essere ricaduto in quel tunnel. Prima di averlo sperimentato sulla mia pelle quasi non credevo al fatto che ne bastava una sola goccia.

Ora che mi trovo in questa stanza e penso a tutto ciò, di sicuro mi farò forza quando uscirò a rimanere sobrio. In seguito ho frequentato quattro riunioni dell’Associazione Alcolisti Anonimi. Nelle quali ho potuto appurare che tutto quello che dicevano coloro che avevano avuto la mia esperienza corrispondeva tutto alla realtà, perché lo ho potuto sperimentare sulla mia pelle.

In queste poche riunioni ho potuto apprendere delle cose importanti.

Una persona che non ha questo problema può bere, senza esagerare, tranquillamente; un alcolista invece, bevendo un “goccetto” entra in quella fase che ho descritto sopra.

In un primo momento il bere è un piacere. Dopo quella sensazione dei primi bicchieri si giunge poi ad una condizione nauseabonda, nella quale l’organismo si trova in uno stato di malessere generale. Si arriva al punto di non saper controllare le proprie azioni e le proprie parole, fino ad arrivare a fare del male anche agli altri.

Una volta passato questo stato vengono poi i sensi di colpa e dopo un po’, invece di smettere, si sente un impulso irrefrenabile che porta a ritornare a bere. Cercando poi di smettere, viene dopo un po’ una forte depressione, una forte crisi d’astinenza accompagnata da strane sensazioni, incubi notturni, tremori. Nella mia esperienza, mi è capitato più di una volta di provare questo momento terribile. Un paio di volte, come ho detto, mi sono disintossicato e ho raggiunto uno stato di sobrietà, ma dopo un po’ sono ricaduto nel problema.

Capitolo II

Ore 19.00

Trovandomi adesso da solo seduto vicino all’ingresso del reparto sto meditando sul mio passato. Sto cercando di ricordarmi come ho cominciato a bere e come sono arrivato alla fine ad uno stato pietoso. Ora maledico il giorno che bevvi per la prima volta!

Sinceramente non so più quando è stato. I miei ricordi si perdono nella notte dei tempi. Ricordo che ero un ragazzino quando, avendomi scolata un’intera bottiglia di liquore Strega mi ritrovai steso a terra in coma; a scoprirmi fu mia madre. Dovetti stare per almeno ventiquattrore a letto con la testa che quasi mi scoppiava. Prima di allora avevo già bevuto qualche altra volta, ero quindi proprio un bambino quando provai la mia prima esperienza con l’alcol.

Ora i miei ricordi vanno ancora più indietro nel tempo. Cose che rimembro vagamente. Rammento quando avevo appena quattro anni e in pratica ero accudito dalla mia nonna materna perché i miei genitori lavoravano entrambi. Mio padre, calzolaio, lavora in una fabbrichetta a Napoli e mia madre era quella che oggi si dice una collaboratrice domestica. Non ricordo moltissimo di quel periodo, anche perché ero piccolissimo. Mio fratello ha tre anni meno di me, quindi a quei tempi doveva avere circa due anni. Ho frequentato l’asilo qui a Napoli, Capodimonte.

Quando avevo circa cinque anni ci trasferimmo ad Aprilia, provincia di Latina, a quaranta chilometri da Roma per motivi lavorativi di mio padre, il quale ha veramente portato avanti la nostra famigliola con stenti. Ho frequentato la prima elementare ad Aprilia e la seconda a Ciampino (Roma). Ricordo che quando stavamo ad Aprilia, quasi due anni, abitavamo a fianco di una chiesa evangelica A.D.I. (Assemblee di Dio in Italia) e mia madre spesso partecipava ai culti, seguendo sua sorella che da anni era già evangelica.

Mia madre spesso mi raccontava di aver frequentato anche da piccola una comunità evangelica di Napoli, una delle prime nella nostra città che all’epoca si trovava a san Giovanni a Carbonara.

Seguendo la mia mamma e mia zia in quella comunità ad Aprilia, ho avuto fin da piccolo insegnamenti riguardo la Parola di Dio e spesso avevo ascoltato testimonianze di persone che erano state miracolate o salvate da Gesù. Frequentai anche qualche riunione di scuola domenicale per fanciulli.

Nella nostra famiglia abbiamo ricevuto alcuni miracoli dei quali ne racconto qualcuno.

APRILIA (LT) PIAZZA SAN MICHELE

Una volta mia madre cominciò ad avere una flebite alla gamba che cominciò a gonfiarsi e ad annerirsi. Essendo stata visitata da vari medici, questi le prospettarono la necessità di doverle amputare una gamba.

Ero molto piccolo ma ricordo le sofferenze di mia madre. Sembrava non ci fosse niente da fare, la gamba doveva essere tagliata. La Chiesa d’Aprilia faceva fervide preghiere.

Una domenica mattina mia madre, accompagnata a braccia perché non ce la faceva più a camminare, entrò in chiesa durante il culto. Dentro il locale s’inginocchiò a terra quasi a peso morto ed invocò il Signore. All’istante la gamba si sgonfiò e guarì! Tutta la chiesa potette glorificare il Signore per il miracolo avvenuto.

Un’altra volta mio padre ebbe una setticemia per un male alla gola. Il collo gli si gonfiò a tal punto che sembrava gli scoppiasse. La chiesa fece anche allora fervide preghiere. Mio padre fu guarito miracolosamente.

Avevo quasi otto anni e si prospettò per la mia famigliola la necessità di tornare a Napoli. Poco prima di partire mi accadde un episodio al seguito del quale stavo rischiando di morire.

Stavo giocando con mio fratello che all’epoca aveva circa quattro anni. mia madre non era in casa ed aveva lasciata la porta chiusa mentre la finestra della cucina era aperta. Io e mio fratello decidemmo di scavalcare la finestra per uscire nel cortile. Cominciai a salire per primo per fare strada. Mio fratello, per accelerare i tempi, ebbe la brillante idea di darmi una spinta. Caddi con la faccia sul selciato da un’altezza di circa due metri e rimasi tramortito. Ero caduto col naso a terra e mi si deviò il setto nasale.

Ero in un lago di sangue quando mia madre mi soccorse e, riportandomi a casa, mi fece fermare il getto di sangue tamponandomi il naso e mettendomi ghiaccio sulla fronte. Dopo un po’ mi salì la febbre alta.

Era giunto il momento di partire per Napoli. Mio padre non ha mai guidato. Ci venne a prendere uno zio con una cinquecento. A quei tempi, che non c’erano le strade come quelle d’oggi e con quella macchina, fu un’impresa giungere a Napoli. Mio padre restò a Ciampino mentre io, la mamma e mio fratello, con lo zio che faceva da autista ci avventurammo verso Napoli.

Tutto imbacuccato e con la febbre alta, mi sentivo come un pacco trasportato da un carro postale. Arrivati a Napoli, vista la mia condizione che peggiorava, mi portarono d’urgenza all’ospedale. Lì, ricordo come fosse stato ieri, mi fecero un intervento dal vivo. Il chirurgo m’infilò un ferro nel naso per farmi uscire il sangue che si era coagulato all’interno e che, impedendone l’uscita di altro rischiava di farmelo arrivare fino al cervello. I medici affermarono che sarebbero bastati altri pochi minuti che potevo morire. La mano del Signore fu su di me anche in quel caso!

Mi ricoverarono per accertamenti. Ricordo che mia madre piangeva ma lo faceva anche perchè pensava alla sua mamma che nel frattempo era a casa in gravi condizioni.

Dopo qualche giorno io uscii dall’ospedale sano e salvo e i medici consigliarono di farmi operare il setto nasale all’età di sedici anni che poi fu fatto.

Mia nonna morì dopo pochi giorni e noi rimanemmo ad alloggiare con il nonno.

Mio padre per qualche tempo fu costretto a fare il pendolare tra Roma e Napoli, poi trovato un lavoro a Napoli si stabilì con noi.

Per me quello con Napoli fu un vero impatto, poiché qui riscontrai una realtà totalmente diversa da quella che avevo lasciata nella provincia di Roma.

Capitolo III

CAPODIMONTE

A Napoli, il quartiere di Capodimonte, nel quale sono nato ed ho passato gran parte della mia gioventù, è caratterizzato dalla presenza di un bosco che è sicuramente il “polmone” più grande della città.

In questo bosco ho passato gran parte della mia gioventù. Da piccolino giocavo con gli amici a fare la “guerra” con i ragazzi d’altri rioni vicini. Un po’ più grande mi rifugiavo in quei posti per fumare spinelli.

Nell’età adolescenziale ho frequentato miei coetanei che, crescendo, hanno poi intrapreso la via della delinquenza e qualcuno di loro, ha provato poi il carcere. Vivendo come “scugnizzo”, ho potuto costatare che quell’impronta evangelica segnatami nella mia fanciullezza dalla mamma prima, poi anche dalla zia, ha inciso molto sulla mia vita anche da giovanissimo. Facevo sicuramente cose non piacevoli agli occhi di Dio, spesso però rivolgevo a Lui il mio pensiero e credo che in molte occasioni Egli non ha permesso facessi una brutta fine.

Dal nostro ritorno a Napoli, dopo la breve parentesi “romana” abbiamo vissuto insieme a mio nonno.

La famiglia di mia madre è molto numerosa; essendo stata la seconda di dieci figli, cinque maschi e cinque femmine, delle quali lei era la più grande, funse per un certo periodo, dopo la morte di mia nonna, da madre per tutti gli altri.

E’ stata una donna che ha molto combattuto ed è riuscita a portare avanti, prima i suoi fratelli, poi noi figli in un modo esemplare.

Spesso i miei genitori hanno raccontato di aver attraversato anche momenti di grossi problemi economici.

Sposatisi tutti i miei zii, rimanemmo nella stessa casa insieme a mio nonno al quale volevo molto bene.

Una volta, avevamo una coppia di giovani sposi ospiti a casa e li facemmo dormire nel letto matrimoniale, dove di solito dormiva mio nonno, mentre lui dormì in un lettino in un’altra stanza. Durante la notte si alzò per andare in bagno e, invece di tornare nel lettino, andò a mettersi nel suo solito posto coricandosi addosso all’ospite procurandole un grosso spavento.

La morte di mio nonno fu per me un altro trauma. Non avevo perso un nonno ma un padre come quando perdendo mia nonna fu come aver perso una mamma.

Cominciai a frequentare le scuole superiori. Il mio primo spinello lo fumai quando ero al terzo anno dell’I.T.I.S. Alessandro Volta del Corso Garibaldi. Fu in occasione di un’occupazione scolastica.

LA PIAZZETTA SANTA MARIA DELLA FEDE SUL CORSO GARIBALDI A NAPOLI CON A DESTRA L’INGRESSO DELL’ITIS “ALESSANDRO VOLTA”

Nel 1979, ci fu il rapimento d’Aldo Moro, per opera delle Brigate Rosse ed in molti di noi giovani nacque per questo fatto una specie di mito nei confronti di coloro che, secondo i nostri pensieri, volevano cambiare il modo di governare la nostra nazione.

Personalmente non avevo idee molto chiare riguardo a questi fenomeni, ma ricordo che in seno al movimento studentesco, fomentavano delle ribellioni rispetto al modo di comportarsi ambiguo d’alcuni uomini politici.

Non ero né lo sono ora molto preparato su questi argomenti. Ricordo che in quel periodo ci furono diverse manifestazioni nell’ambito studentesco.

GLI “ANNI DI PIOMBO”

Fu in quel tempo che cominciai ad “evadere” dalla realtà cominciando a fumare spinelli. Hashish, Marijuana cominciarono ad entrare nella mia vita.

Fu un periodo in cui cominciai ad estraniarmi da tutto quello che avveniva nel mondo. L’unica cosa che in quel tempo mi colpì in modo particolare, fu l’escalation di violenza per opera dei terroristi ed in particolar modo delle Brigate Rosse. L’omicidio d’Aldo Moro mi sconvolse ma poi col tempo passò in second’ordine nella mia mente.

Un giorno un amico di Capodimonte bussò al mio citofono. Era di pomeriggio ed io mi ero assopito sul letto. Ero solo in casa. Mi affacciai al balcone e questo mio amico mi chiese di scendere. Per strada, mentre ci dirigevamo verso il bosco mi disse che sapeva che avevo cominciato a fumare spinelli. Mi raccontò che da un po’ alcuni nostri amici si stavano radunando nel bosco, in un angolo che gli abitanti del quartiere ancora oggi chiamano “dietro la vasca”. Questo nome perchè questo posto è caratterizzato dalla presenza di una vasca piena d’acqua.

Qui i nostri amici si radunavano per bere birra e fumare spinelli, a quei tempi l’eroina non era tanto diffusa come purtroppo lo è oggi.

Oggi questo luogo è molto più pulito ed ordinato di allora anche per la presenza massiccia di Polizia e Carabinieri. È molto curato ed è diventato una bell’attrazione turistica.

LA “VASCA” NEL BOSCO DI CAPODIMONTE OGGI.

All’epoca dei fatti che stavo narrando questo posto era molto trascurato, l’erba dei prati incolta, la “vasca” piena di cartacce e sporca.

Notai che i miei amici erano raccolti attorno ad un falò. Erano circa una decina e mi accorsi che tra loro si passavano una “canna”, evidentemente di hashish o marijuana. Ci aggregammo al gruppo e cominciammo a fumare.

Da allora l’hashish diventò per me come un “alimento” quotidiano. Nel Bosco trascorrevo gran parte della giornata a fumare spinelli e bere birra. Cominciammo poi a fare anche uso di Roi Epnol, una sorta di tranquillanti che usavamo per “sballare”. Spesso facevamo “cocktail” con varie di queste sostanze, vere e proprie “bombe”. Più di una volta mi hanno portato a casa in coma.

23 NOVEMBRE 1980 ORE 19.30

All’età di circa 19 anni andavo ancora a scuola, frequentavo l’ultimo anno dell’Istituto Tecnico Alessandro Volta.

Stavo in quel periodo attraversando momenti di crisi esistenziali durante le quali mi chiudevo in me stesso e m’isolavo. Frequentando persone che non facevano altro che fumare spinelli o bere, diventavo sempre più riservato e chiuso.

Fu in quel periodo che lasciai tutti i miei amici e cominciai a frequentare un locale del quartiere dove si riunivano, in genere persone anziane per giocare a carte o a biliardo.

Io giovanissimo mi sedevo accanto ai tavoli solo per guardare in silenzio quegli anziani che giocavano a Poker. Di tanto in tanto si vedeva in quel locale qualcuno più giovane ma io non socializzavo con nessuno.

Spesso a casa mi rifugiavo in qualche birra e pur in quelle condizioni, di tanto in tanto pensavo a quelle volte che da piccolo avevo frequentato quella Chiesa Evangelica ad Aprilia, a tutte le belle parole che la mia cara zia spesso mi aveva dette parlandomi di Gesù. Qualche volta pregavo chiedendo al Signore di farmi fare anche a me quell’esperienza di salvezza che spesso avevo sentito testimoniare da coloro che frequentavano quella Chiesa. In me però rimaneva spesso un vuoto che spesso cercavo di colmare con una sbornia.

Fu in quel periodo, proprio in quel circolo di giocatori di carte, poiché non mi sentivano parlare mai che mi affibbiarono il nomignolo de “IL MUTO”.

A Napoli è consueto affibbiare un nomignolo a molti e quello divenne in poco tempo il mio.

Vengo ora alla data che è il titolo di questo capitolo: 23 novembre 1980. mi trovavo, verso le ore 19,30, proprio in quel locale e stavo, come di solito, assistendo ad una partita di carte. All’improvviso la terra cominciò a tremare. “Il terremoto, il terremoto..” sentii gridare. In effetti, era proprio una violentissima scossa di terremoto.

Tutto quello che ricordo, è che quella scossa fu talmente forte che fui scaraventato a terra dalla sedia e tutti quelli che scappavano fuori, mi passavano addosso. Riuscii a stento ad alzarmi e mi precipitai all’esterno del locale. Fuori vidi tanta gente scappare verso il Bosco e molti gridavano: “Nel Bosco! Scappiamo nel Bosco!”.

Il mio primo pensiero fu invece quello di andare verso casa per vedere cosa era successo. Correndo vedevo i cornicioni e gli intonaci dei palazzi cadere. Mia madre che, sconvolta, mi chiamava e mio padre erano scesi da casa, mio fratello portava in braccio mia sorella che all’epoca doveva avere circa dieci anni. Assicuratomi che stavano fisicamente tutti bene scappammo nel Bosco.

Una brutta esperienza che mi è rimasta impressa per tanto tempo ed ancora oggi, a distanza di più di venti anni, ad ogni tremolio del suolo, dovuto a volte anche dal passaggio di mezzi pesanti per la strada, mi sobbalza il cuore pensando a quella sera.

Tutto il quartiere era rifugiato nel Bosco.

LA PRIMA PAGINA DEL MATTINO DOPO IL TERREMOTO

Dopo un po’ di tempo, con alcuni miei amici ci appartammo per fumare Hashish. Erano tutti ancora sotto shock per l’evento disastroso e noi pensavamo a “sballare”.

Capitolo V

“IL MUTO”

Ora ho un po’ di confusione nella mia mente e, trascorsi più di venti anni, non riesco a ricordare se le cose che sto per raccontare sono post terremoto o meno, oppure sono a cavallo di quell’evento.

Il nomignolo “il Muto”, che mi avevano affibbiato, non mi andava giù.

Mi trovo adesso ancora a scrivere sulla scrivania all’ingresso del reparto e si è fatto tardi.

La mia mente che sta vagando nel passato, va ora ancora più indietro nel tempo.

Dovevo avere una quindicina d’anni e frequentavo alcuni ragazzi che come si dice a Napoli erano veri e propri delinquenti. A mio padre ovviamente non piaceva quella compagnia e spesso mi rimproverava vedendomi con loro. Li ho frequentati fino all’età di circa diciotto anni. Stranamente andavo a scuola, mi diplomai ma allo stesso tempo frequentavo questa “banda”. Oggi, dopo tanti anni che non frequento più quelle persone, so che addirittura alcuni di loro sono entrati a far parte di bande di camorra e non scrivo oltre!

Alcuni si sono dati all’eroina e purtroppo hanno fatto una brutta fine. Qualcuno è morto per overdose, chi ammazzato. Uno di loro, mio caro amico, dopo la morte della madre s’impiccò. Un altro, trovandosi sotto l’effetto dell’eroina, alla guida di una cinquecento, fece un brutto incidente e morì, aveva una ventina d’anni. Ringrazio anche per questo il Signore di non avermi fatta fare anche a me una brutta fine.

Questa parentesi della mia vita la cerco di soffocare nei ricordi.

La droga però ha caratterizzato in ogni modo la mia gioventù.

Frequentavo l’ultimo anno della scuola A. Volta e dovevo dare l’esame per il diploma. Avevo quindi alcuni libri che mi servivano. Uno di quei miei amici, mi propose di provare con lui l’eroina che lui gia faceva uso da qualche tempo. Per racimolare la cifra che mi serviva per la mia parte, vendetti alcuni dei libri che mi servivano ancora per l’esame. Mettemmo insieme dei soldi e andammo comprare una bustina d’eroina. Ci appartammo nel Bosco e ci bucammo.

Fu quella la prima e unica volta che provai il “buco”. I miei amici si meravigliavano di come mi bucai per una sola volta.

Dopo il buco mi ritirai a casa. Mi sdraiai sul letto. La mia testa sembrava girare come una trottola. La stanza sembrava un caleidoscopio, poi non ricordo più niente.

Quello era il periodo in cui cominciavano a chiamarmi il “Muto” che, come ho già detto non riuscivo a mandare giù.

Ormai i pensieri riguardo alla religione mi avevano lasciato. So però che mia madre ha sempre pregato per me.

Quel soprannome che mi avevano affibbiato diventò per me un’ossessione. M’isolai sempre di più e cominciai a bere, a fumare spinelli da solo, fino ad arrivare a fare cose che oggi ho vergogna solo a pensarci. Come ad esempio mi piaceva appiccare fuochi.

Una volta l’incendio era così vasto che accorsero pompieri e carabinieri.

I pompieri riuscirono a domare il fuoco e grazie a Dio nessuno si fece male. Ebbi il barbaro coraggio di ritornare sul posto e domandai ai poliziotti cosa stesse succedendo. Mi allontanarono. Avessero saputo!

Sono le ore 21,50 di venerdì 9 marzo 2001. Sto scrivendo e il primario del reparto mi vede e, senza parlarmi, mi fa uno sguardo come per farmi capire che devo rientrare in camera. Sono stanco. Molto probabilmente domani uscirò. A mente fresca continuerò a scrivere quello che viene fuori dei miei ricordi.

Quello che ho poc’anzi raccontato è solo uno degli episodi trascorsi nei periodi di solitudine.

DOTTOR JECKILL E MISTER HIDE

Capitolo VI

Oggi, sabato 10 marzo 2001, mi sono svegliato molto presto. Alle ore 05,00 già sentivo il canto degli uccelli che annunciavano l’albeggiare. Volevo riprendere sonno ma i miei occhi neppure riuscivo a chiuderli.

Sono andato in bagno, mi sono raso, e sono tornato a letto. Non riuscivo a prendere sonno e ho deciso di ritornare sul tavolo all’ingresso del reparto per continuare a scrivere.

Ora sono le 05,45, vorrei non scrivere più del mio passato, ma forse sarà utile farlo.

Sostengo che c’è stato un periodo della mia vita, quello in cui è compreso l’episodio dell’incendio, in cui sembrava avessi una doppia personalità.

Con i miei amici, con i parenti, ero buono, affabile, accomodante. Isolandomi, bevendo e fumando da solo, diventavo cattivo, ostile con tutto e con tutti. Volevo cambiare il mondo. Chi ero io da avere questa pretesa?

ORE 6,00: sto seriamente pensando di strappare questo quaderno ma poi ho pensato di aver promesso ad una mia CARA AMICA di farglielo leggere e lo farò!

Da questo momento in poi dedico a lei le PROSSIME PAGINE.

PARTE II

DEDICATO AD UNA CARISSIMA AMICA

INTRODUZIONE ALLA II PARTE

Lavoro da più di quindici anni in un ufficio nel quale siamo impiegati una cinquantina di persone che hanno quasi la stessa età. La maggior parte è stata assunta all’età di poco più di venti anni e si può dire siamo cresciuti insieme in quest’ambiente. Quel mondo di cui ho accennato nei primi capitoli lo ho lasciato da tanto tempo. Mi sono sposato e ho due bei bimbi. Da un po’ di tempo però ho ripreso a bere e i miei colleghi, alcuni dei quali sono diventati per me veri amici, mi hanno aiutato molto.

Negli ultimi tempi sto scrivendo un giornalino a diffusione interna nell’ufficio. In questo giornalino faccio comparire una formica alla quale metto in bocca, attraverso fumetti, delle frasi dedicati ad un’immaginaria innamorata dell’animaletto rappresentata da un’immagine della Befana.

Spesso sto molto vicino ad una collega, che non è quella cui è dedicata questa parte, per tale motivo alcuni hanno pensato, avendo capito che quella Formica, sia il mio ego, che la Befana doveva essere quella che in realtà è per me solo un’amica. La collega alla quale dedico questa parte è invece una che negli ultimi tempi mi è stata molto vicina.

È stata lei che mi ha accompagnato in quest’ospedale dove sono ricoverato per disintossicarmi.

Prima di cominciare la II Parte vi faccio vedere una delle vignette riguardanti quella Formica del giornalino che stampo per l’ufficio.

Capitolo VII

SABATO, 10 MARZO 2001 ORE 06,02

Carissima amica mia, sai per me sei stata molto importante.

Sei una pedina che di certo, Dio cui, come sai credo molto, si è servito per dare una svolta alla mia vita!

Voglio ora scrivere per te quello che segue. Abbi pazienza, cerca di seguire la mia testa bizzarra.

Questa mattina, come dicevo, mi sono svegliato presto. Dal letto sentivo il cinguettio degli uccelli. Questo mi fa sempre ricordare l’inizio della primavera. Mi fa anche ricordare il periodo in cui scrissi alcune poesie e una di queste recitava così:

“…IL CANTO DEGLI UCCELLI LA MATTINA MI SVEGLIAVA…ORA MI SVEGLIA IL RUMORE DELLA TANGENZIALE!”

Sono passati da allora più di venti anni e per riscrivere tutte le mie poesie, come ti ho già detto altre volte, dovrei chiedere a mia sorella se ha ancora quel diario nel quale riportò tutti i miei scritti.

Non so fino a che punto possono interessarti tutte queste cose. Volendo puoi anche non continuare a leggere ma se continui…

Vorrei dirti alcuni miei pensieri.

Un’altra cosa che tra l’altro scrissi all’epoca dei fatti diceva:

“…IPOCRISIA, TRISTE SEI NEMICA MIA!”

In effetti, l’ipocrisia è stata da sempre una cosa che ho odiato.

La SINCERITA’, che credo sia l’opposto dell’ipocrisia è una cosa rara negli uomini ed anche in me. Non pensare che io dica di essere stato sempre sincero nella mia vita, se conosci qualcuno che è stato sempre sincero presentamelo, ne sarò molto lieto.

Credo che la sincerità sia rara come una GALLINA A TRE ZAMPE!

LA GALLINA A TRE ZAMPE

Capitolo VIII

LA GALLINA A TRE ZAMPE

Molte volte la natura gioca strani scherzi. Una volta lessi su un giornale che in un allevamento di polli n’era nato uno a tre zampe. Caso rarissimo. Poco fa ho letto della nascita di un agnello a cinque zampe. Vicino casa mia abitava una bimba che per ogni mano aveva sei dita invece di cinque.

Nella mia vita ho cercato di essere il più possibile sincero con gli altri. Non sempre (sono sincero) ci sono riuscito. La mia mancanza di sincerità però è stata sempre scoperta a causa della mia trasparenza. Questo particolare si è accentuato soprattutto nel tentativo di nascondere i miei stati d’animo, nei momenti in cui bevevo o fumavo hashish o prendevo atre sostanze.

Ho spesso mentito a mia madre per nasconderle quella realtà. Non mi rendevo conto che più le mentivo, più le facevo del male.

Ho dato questo titolo al presente scritto perchè ritengo che la sincerità, essendo molto rara, è proprio come uno di quei casi raccontato all’inizio di questo capitolo, come appunto una gallina a tre zampe.

È forse stata la assenza di sincerità, la mancanza, spesse volte di un vero colloquio con gli altri e soprattutto coni i miei genitori, che ha caratterizzato la mia gioventù e mi ha portato a quello stato d’isolamento facendomi fare cose che, di sicuro, hanno danneggiato la mia vita, a livello fisico ma sopratutto spirituale e morale.

In questi tempi sto capendo che bisogna essere il più possibile schietti con gli altri, soprattutto con chi ti ama, e avere con loro un sincero dialogo, perchè tu puoi essere aiutato e allo stesso tempo loro possono avere bisogno di te.

Capitolo IX

LA BEFANA

Vorrei dirti ora qualcosa riguardo all’episodio della “Befana” che tu, so, conosci.

Questa (e ora sono sincero) è una donna frutto della mia fantasia! La mia DONNA IDEALE!

Quella donna che tu conosci alla quale sono rivolte le frasi che ho messo in bocca alla FORMICA, personaggio del giornalino che stiamo stampando per l’ufficio, è solo un punto di riferimento. Molti credono che io sia innamorato di quella collega che mi è molto vicina e per lei scrivo quelle frasi sul giornalino. Lei è una cara amica. Non so se mi stai seguendo ma credimi, in questo momento dal tavolo all’ingresso sono passato, per colpa del ragazzo delle pulizie, nella mia stanza.

SONO LE ORE 07,00.

Dicevo della Befana. Questa “donna ideale” credevo d’averla conosciuta tanti anni fa, al tempo in cui decisi di troncare con i miei vecchi amici.

Tu sai che il nostro quartiere, Capodimonte, è diviso in due parti da un bosco, queste zone sono chiamate Porta Grande e Porta Piccola dai due ingressi principali per il Bosco.

A parte quella breve parentesi trascorsa vicino Roma, di cui ho scritto, ho passato la mia infanzia e gran parte della gioventù a Porta Grande.

Cominciarono ad affibbiarmi il nomignolo “il Muto”, che io non sopportavo e cominciai a distaccarmi dai miei amici, quelli di cui scrivevo nel capitolo V.

Porta Grande e Porta Piccola, tu sai, distano tra loro un paio di chilometri ma, quando decisi di andare a “tastare” quest’ultima zona, mi sembrò di entrare in un altro mondo.

A Porta Piccola ho cominciato a frequentare altre persone.

Trascorso un periodo di solitudine, ho sempre sentito la necessità di avere degli amici con i quali confidarmi, con i quali condividere esperienze e idee.

In quel tempo conobbi Antonio. Lui pure aveva sentito come me la necessità di “evadere” dalla realtà del Rione Porta Grande.

Conoscemmo insieme Franco, un ragazzo di Porta Piccola. Noi tre riuscimmo a concentrare intorno a noi altri giovani tra cui delle ragazze.

Mister Hide era morto. Voglio affermare che quel personaggio che per un po’ di tempo mi aveva fatto fare cose strane non c’era più in me.

Con l’aiuto di Antonio e Franco, evadendo da Porta Grande, ritornai ad avere voglia di vivere.

Pian piano riacquistai “terreno” e riuscii a farmi tanti amici. Diventammo un bel gruppo ma lo spinello era come un nostro punto di riferimento. Per un po’ di tempo non esageravo nello sballare ma avevo sempre con me un pezzo di quella sostanza marrone, l’Hashish, che noi chiamavamo il Fumo. Spero di non annoiarti con questa storia ma credo sia necessario raccontarla per farti capire il fatto della Befana.

Nel gruppo di cui ti scrivevo c’erano, come ti dicevo delle ragazze e tra queste vi era Carla (il nome è inventato, non ho ritenuto opportuno scrivere quello vero), la quale mi piaceva molto e presto me ne innamorai.

Questa ragazza ed alcune sue amiche, tutte del Rione Porta Grande, avevano fatto come noi quella “fuga” da questa realtà.

Ora mi rendo conto che a noi si aggiunsero giovani che invece si allontanarono da Porta Piccola. Tu sai, questi due rioni sono agglomerati urbani che a giovani come noi cominciavano a non piacere.

Nostro punto d’incontro era “Dietro la Vasca”. Credo che conosci quel posto. Oggi è molto cambiato. A quei tempi, più di venti anni fa, era abbandonato dalle autorità; non c’era chi come adesso, curava i prati e mancava la presenza della Polizia diversamente da oggi.

Spesso ci radunavamo in quel posto per fumare spinelli.

Scusami, non voglio assillarti con questa storia, vengo al dunque.

Questa ragazza, Carla, come ho detto mi piaceva molto, soprattutto per il suo carattere espansivo e, almeno credevo, sincero. Non tanto il suo aspetto fisico mi attirava ma, come dicevo, la personalità. Era una ragazza che attirava spesso l’attenzione su di se, non tanto perchè voleva mettersi in mostra ma perchè era molto aperta, con spirito allegro, comprensiva.Con lei riuscivo anche a confidarmi, stavamo spesso insieme. Non ho avuto con lei alcun rapporto sessuale ma siamo stati molto vicini e molto amici. Spesso ci trovavamo soli, seduti in un prato fino a sfiorarci. In lei riuscivo a vedere un vero amico. Una donna per amico? Per il mio maledettissimo carattere introverso e timido, non ho mai avuto il coraggio di dirle che la amavo. Aveva fumato con noi qualche spinello poi mi disse che quella vita non le piaceva. Volevo prendere la decisione di cominciare una vita nuova insieme a lei. Quando decisi finalmente di dirle la mia intenzione, la grande delusione. Andai a prenderla a scuola. Ero deciso: “ora esce” pensai “e mentre l’accompagno a casa le dico quanto l’amo”. Lei non mi vide quando uscì dalla scuola ma io mi accorsi che stava con un altro sotto il braccio, dopo un po’ si baciarono. Rimasi sconvolto. Per un po’ di tempo stetti veramente male. Forse per lei ero stato solo “un amico” o forse non avevo saputo prenderla nel modo giusto. Sta il fatto che ne rimasi male.

Capitolo X

LA DONNA IDEALE

Sabato, 10 marzo 2001, riprendo a scrivere.

Nella camera dell’ospedale ora sono solo. Il mio compagno di stanza è stato dimesso questa mattina. Credevo avessero dimesso anche me ma il dottore mi ha assicurato che per me se ne riparlerà lunedì.

La radio è accesa mentre sto scrivendo. Una musica soft mi accompagna. Sentendo questo tipo di musica, mi ritornano in mente ancora una volta quei giorni che fumavo spinelli.

Chissà perchè sto pensando a quei momenti.

Poco fa mi hai telefonato.

Carla poteva essere quella che ritenevo la mia “donna ideale”. Un’illusione.

Frutto della mia immaginazione? Sono passati tanti anni, come si dice: “N’è passata acqua sotto i ponti”. Ora lei è sposata proprio con colui che quel giorno vidi insieme a lei.

In questo momento ho spento la radio. Un silenzio invade la stanza. Strano! Era molto tempo che non provavo questa sensazione. Il silenzio assoluto, neppure un uccello che cinguetta. Sono adulto, non ho paura della solitudine né del buio. Questo silenzio mi affascina. Ora però è interrotto da un vocio dal corridoio. Mi sono distratto un po’. Credo di essermi scocciato scrivere del mio passato.

Mi sono rimaste poche pagine e potrei riempirle e riempire altri quaderni per raccontare ancora, ma poi perchè?

Ci sono delle cose che ho fatto che non posso neppure scriverle. Lo sappiamo solo io e Dio.

Ora in pratica mi sto rivolgendo solo esclusivamente a te che ho dedicato questa parte, non scrivo il tuo nome ma è chiaro che mi capisci. Tu sai, in questo momento, quando parlo della “Befana” e della “Formica” a cosa mi riferisco. Forse qualcuno che avrà la sventura di leggere queste righe non intenderà ma so che tu mi capirai!

Credo che ora sia chiaro che la Befana è una donna che ho sempre immaginato e che nella mia vita credevo, fino a poco tempo fa di non averla mai trovata. Ti ho raccontato di Carla, ti potrei raccontare d’altri episodi. Quello più clamoroso accaduto qualche anno prima che conoscere la mia attuale moglie. Ero fidanzato con una ragazza con la quale stavo quasi per sposarmi. Avevamo prenotato anche il ristorante per lo sposalizio!

Un giorno la vidi che si abbracciava con un altro! A quel punto cosa fare? Come non arrivare al punto di odiare tutte le donne? La mia DONNA IDEALE? Ma andasse a farsi… scusami è uno sfogo. Solo pensando a quel momento che vidi la donna, con la quale stavo quasi per sposarmi, con un altro!

Ero riuscito a stare, credimi, per molto tempo senza più toccare uno spinello, senza più bere.

Ebbi la forza di non farlo più. Dopo alcuni anni conobbi Rosalia e la sposai. Ho avuto due figli. Non so perchè dopo un po’ ho ripreso a bere. Come ho già detto questa è la terza volta che sono ricoverato per disintossicarmi, L’ULTIMA!

VENIAMO AL DUNQUE.

Ormai ho quasi quarant’anni. Non sono più un ragazzino.

Fino a poco tempo fa ero arrivato al punto di pensare che la vera amicizia, quella SINCERA (La Gallina a tre zampe), no esisteva, per me non poteva esistere.

In questo momento è entrato nella stanza un degente della camera accanto chiedendomi di farmi compagnia. Continuerò a scrivere domani. Tanto ho un’atra giornata di tempo!

Capitolo XI

UNA DONNA PER AMICO

Domenica, 11 marzo 2001, ore 5,40.

Questa mattina non è necessario andare fuori alla stanza per scrivere perchè sono solo e posso tranquillamente accendere la luce e scrivere.

A proposito di amicizia sincera. Qualcuno dei miei colleghi mi ha fatto veramente ricredere. Penso ora che la vera amicizia possa esistere. All’inizio del capitolo precedente ho scritto che tu per me sei stata molto importante.

A quarant’anni ho capito che parlare è importantissimo. Fare il MUTO non serve assolutamente a niente. Dialogare con gli altri è molto importante. In questi ultimi giorni ho capito una cosa: tenermi dentro le mie angosce, nascondere agli altri i miei tabù, fare le cose di nascosto non ne vale assolutamente la pena. Aprirmi con altri e confidare i miei problemi è stato molto importante per me. Confidarsi con un vero amico, maschio o femmina che sia (ora sono convinto che si può avere una donna per amico!), è molto importante.

Ora ti spiego perchè per me sei stata molto importante.

Alcuni discorsi che ho fatto con te (è inutile scriverli, tu sai di cosa abbiamo parlato) mi hanno fatto molto bene.

Scusami un attimo, sta cominciando a farmi un po’ male la testa. Ora vado a buttarmi un poco d’acqua fresca in faccia, mi faccio la barba e poi torno a scrivere.

Ore 6,30

Ora mi sento meglio. Sono tornato in stanza. Ho aperto la finestra. Una leggera e fresca brezza riempie la stanza. Sento il cinguettare degli uccelli. Il cielo comincia ad albeggiare e l’aria fresca mi entra nel naso fino ad irrorare i miei polmoni.

Ti piace la mia vena poetica?

Ogni tanto fa bene riflettere sui benefici della natura, distrarsi dai pensieri della vita materiale.

Prova qualche volta, ti consiglio in piena primavera, ad alzarti all’alba. Affacciati al balcone o alla finestra (tu abiti in un posto meraviglioso) e respira profondamente.

L’aria che ti riempirà i polmoni ti farà molto bene.

I suoni della natura rigenerano l’anima.

Mi hai sempre detto di non credere in Dio ma ti invito a dire anche una sola volta: “Grazie Gesù”. Fallo in quel momento che sarai affacciata a sentire e respirare la natura.

Veniamo a quello che scrivevo prima.

Voglio esserti sincero. Quella collega che tu sai, della quale io e te abbiamo parlato molto, mi ha molto aiutato.

Parlando poi con te ho capito alcune cose molto importanti.

Tutte le cose che penso di fare, tutte le cose che penso di dire, le devo fare, le devo dire, senza preoccuparmi di quello che pensano gli altri.

Non devo preoccuparmi poi di avere una donna per amico, solo perchè posso immaginare che gli altri pensino a male. Questo è stato fino a poco tempo fa, per me, un vero tabù, che ora grazie a voi non lo è più.

Pensavo di aver capito di selezionare le persone, poi riflettendoci credo che coloro che avevo deciso di allontanare potrebbero in realtà aver bisogno loro di me.

I veri amici, quelli dei quali potrò veramente fidarmi, spero, con l’aiuto del Signore, di saperli individuare. Sono ora convinto che è importante avere, al di fuori della propria famiglia, qualcuno, un vero amico, una vera amica, a cui confidarsi con SINCERITÀ.

Capitolo XII

LA COSA PIÙ IMPORTANTE CHE HO CAPITO

La cosa più importante che ho capito parlando con te e, sinceramente, anche con l’altra collega, cara amica anche lei, è la seguente.

Mia moglie è quella donna che fino poco tempo fa pensavo di non aver mai trovato. LA MIA DONNA IDEALE.

Non lo avevo mai capito perchè un vero e proprio dialogo con lei non lo avevo mai avuto. In questi giorni sto capendo che lei è veramente quella donna che io nel passato cercavo. Oggi ho scoperto di averla a fianco e me lo avete fatto capire voi!

Una donna molto buona, molto sensibile. Non merita affatto di avere accanto un marito che la fa soffrire. Fosse stata un’altra al posto suo, già da tempo mi avrebbe mandato a “quel paese”. Posso dire veramente che “mi ha regalato senza mai stancarsi l’anima”.

ORA VOGLIO VERAMENTE CAMBIARE. Da quando esco di qui manifesterò il mio vero io, la mia personalità. Quella persona che è stata sempre chiusa dentro di me. Ho tante cose da fare. I miei due figli devono vedere in me soprattutto un modello di vita esemplare.

Sono la mia esistenza. Sono adesso la più bella cosa che c’è. Lo scopo principale della mia vita è l’aver cura di loro.

A mia moglie voglio veramente tanto bene e voglio cominciare a dimostrarle il più possibile il mio affetto. La mia vita devo concentrarla soprattutto sulla mia famiglia. Su mia moglie, i miei figli. Per arrivare a questo devo curare prima me stesso! In questo periodo ho capito, che curando la mia persona, potrò curare anche coloro che amo veramente.

Desidero che i miei figli crescano vedendo in me un modello di vita esemplare.

Ho sempre amato i bambini, ma i figli sono veramente una cosa speciale.

Credimi, adesso mentre scrivo mi si sono fatti gli occhi lucidi.

CONCLUSIONE

Domani mattina uscirò da questo ospedale. Tornerò a vivere.

Scrivere queste pagine ha riempito alcuni momenti “vuoti” delle giornate trascorse qui dentro.

Non so se scriverò qualche altra cosa. Ma ora voglio lasciarti.

Cara amica mia, ti voglio tanto bene. Forse questo quaderno lo leggerai solo tu o chissà, riuscirò anche a farlo pubblicare. Se poi lo metterò nella mia libreria e nessuno più lo troverà, sarai l’unica ad averlo letto. Per il momento non ho intenzione di farlo leggere ad altri ma forse cambierò idea.

Avevo iniziato a scriverlo solo allo scopo di sfogarmi e di passare il tempo in questo ospedale. Mi piace molto scrivere. Ti ho detto che stavo scrivendo questo quaderno e ti ho promesso di fartelo leggere.

Ora mi sto facendo una promessa: SE NON ME LO CHIEDERAI NON TE LO FARÒ LEGGERE!

Se stai leggendo questo quaderno vuol dire che me lo hai chiesto!

Per ora ti saluto.

Ciao, Cara Amica mia. Una delle cose belle di quando uscirò di qui è che ti rivedrò.

Forse qualche pagina di questo scritto è un po’ triste ma riguarda il mio passato! Ora ci metto una pietra sopra! Ma che dico, un MASSO!

L’importante, come in ogni favola, è il lieto fine.

Adesso dentro di me c’è tanta gioia, tanta voglia di trasmetterla agli altri.

CIAO AMICA MIA

Probabilmente qualcuno prenderà in mano questo quaderno e lo leggerà. Forse anche tra qualche anno. Forse quando non sarò più qui. Non importa.

Non volevo farlo leggere per un motivo particolare. Chi è riuscito a leggerlo per intero ha forse capito che, sapendo aspettare, si può raggiungere uno stato d’animo nel quale sembrava impossibile arrivarci. Basta sapere aspettare con pazienza!

Credo che si è capito che sono un credente in Gesù Cristo. Sono convinto che Lui mi ha aiutato molto. So che Egli si è sempre servito degli uomini.

I miei amici, i miei colleghi che mi hanno molto aiutato, i medici che mi hanno tenuto in cura, tutte queste persone che ringrazio di vivo cuore, credo siano state pedine nelle mani di Dio!

Un ringraziamento particolare alla mia cara moglie che mi è stata molto vicino e ha capito il mio problema. Ti amo tanto.

LUNEDÌ 2 APRILE 2002

CHE BELLA GIORNATA!

POST SCRIPTUM

Scrissi tutto questo in un quaderno a quadretti, durante una mia degenza nell’ospedale “Vecchio Policlinico” di Napoli. Il manoscritto originale lo regalai poi alla collega alla quale ho dedicato la seconda parte. Un giorno mi venne il desiderio di farne delle fotocopie per me e chiesi alla collega in prestito il manoscritto. Mentre facevo le copie mi accorsi che sull’ultima pagina ci aveva attaccato uno di quei foglietti gialli “attacca e stacca” sul quale aveva scritta una frase la quale ci tengo a riportarla.

“Dopo tanto tempo l’ho ripreso e l’ho riletto e mi è tornato in mente il mio “tenero” amico, quello in cui non riponevo più nessuna speranza. Adesso lo posso dire (e ne sono contenta) mi sbagliavo.

Non perderti più, perché hai un modo di essere veramente unico: quel tuo osservare, tacere e incamerare può dare veramente tanto anche agli altri come me.”

ORA RINGRAZIO IL SIGNORE GESU’ CRISTO CHE MI HA LIBERATO. SI E’ SERVITO DI TANTE PERSONE MA ALLA FINE HO CAPITO CHE SOLO A LUI DEVO DARE LA GLORIA!

Dedicato alla mia cara mamma

Della quale posso dire

ha veramente sacrificato,

come credo tutte le mamme,

la sua vita .

Non solo per me ma per tutta la famiglia...

A lei che mi ha trasmesso la sua fede!

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